Lou Reed @ Teatro Verdi, Firenze
Quando Lou Reed sale sul palco del Teatro Verdi di Firenze, incastrato nei suoi amati leather pants, impercettibilmente limitato nei movimenti, è come se per lui il pubblico non ci fosse. Prevedibile ed in linea col personaggio. Imbraccia la chitarra, ed insieme a lui si prepara la band: Fernando Saunders al basso (e voce), Mike Rathke alla chitarra (fantastiche le sue "sfuriate" nella parte finale del concerto), Tony Smith alla batteria, Rob Wasserman al contrabbasso elettrico. La partenza è per "The Paranoia Key of E", prima di una lunga serie di canzoni a me sconosciute: un totale di 13 pezzi, con nessuna citazione nè dell'epopea Velvet Underground, nè dei successi solisti degli anni '70. Eccezion fatta per il bis, dedicato a "Sweet Jane". Cantata peraltro svogliatamente, senza l'originale enfasi sul ritornello, quasi a dire: "brutti rompicazzo, volevate la canzone famosa?! Beccatevi questo." Tutto il rispetto per la decisione, a 64 anni suonati, di partire per l'Italia e suonare il suo rock, senza diventare un jukebox vivente, riproduttore di greatest hits ormai fagocitate dall'industria dei surgelati e dell'elettricità. Superfluo dire che avrei rischiato di cascare dal palchetto del teatro, se solo avesse deciso di suonare una "Heroin" piuttosto che una "Venus in Furs". Ma ciò nonostante, è stato uno show fantastico: ascoltare la sua voce unica e immortale, accompagnata dal suo tocco alla chitarra, non ha prezzo. L'animale si è dimostrato in gran forma, tutt'altro che svogliato (voci provenienti dal freddo, in tutti i sensi, show olimpico della sera precedente), anzi pignolo e scrupoloso nel pretendere il sound giusto dai tecnici.
p.s. Superati due nuovi limiti: partire per un concerto in completa solitudine e, come detto, assistere ad un'esibizione senza conoscere nemmeno una canzone. Fico.
p.s. Superati due nuovi limiti: partire per un concerto in completa solitudine e, come detto, assistere ad un'esibizione senza conoscere nemmeno una canzone. Fico.